I giorni più bui del mese: la disforia premestruale

Valutazione, diagnosi e intervento del disturbo disforico premestruale

Fino a poco tempo fa il disturbo disforico premestruale (PMDD) apparteneva a quegli argomenti tabù che nessuna donna osava affrontare, poiché vittima di pregiudizi e scarsa attenzione da parte della società. Il PMDD è stato per tanto tempo erroneamente sovrapposto alla sindrome premestruale, per poi trovare il suo spazio come disturbo a se stante solo da qualche anno. Per anni tutti i sintomi legati alle varie fasi del ciclo mestruale venivano opportunamente nascosti dalle donne, vittime di una società (a volte ancora adesso), che considerava le mestruazioni come un tabù e un periodo transitorio in cui “è meglio lasciare le donne in pace”.

La diagnosi del PMDD è complessa, poiché richiede attenzione alla natura e alla frequenza della sintomatologia e si pone in diagnosi differenziale con altri disturbi dell’umore.

DEFINIZIONE E DIAGNOSI:

Parliamo di una disforia che insorge solitamente nella settimana che precede il flusso mestruale (fase luteale), raggiungendo l’apice in concomitanza dei primi giorni del flusso, per poi diminuire e risolversi spontaneamente con la fine della mestruazione. La sua durata oscilla quindi tra i 10 e i 14 giorni, ma varia da donna a donna. Il PMDD è causato da fattori diversi, ormonali e personali. Nello specifico la causa scatenante è il calo di ormoni estrogeni che precede la mestruazione e si accompagna a sintomi fisici e psicologici ben precisi, che non possono essere meglio spiegati con un altro disturbo dell’umore o una semplice sindrome premestruale. Secondo il DSM-5, per poter fare diagnosi di DISTURBO DISFORICO PREMESTRUALE, è necessario che almeno 5 dei sintomi (totali) tra quelli elencati del manuale si verifichino nella settimana prima della mestruazione, nella maggior parte dei cicli mestruali nell’arco dell’anno, per poi migliorare entro pochi giorni fino a sparire totalmente nella settimana che precede la prossima ovulazione. la sintomatologia comprende umore marcatamente depresso, ansia, rabbia, sentimenti di disperazione e forte autocritica, aumento dei conflitti interpersonali, diminuito interesse per le abituali attività, letargia, apatia, facile faticabilità, marcata modificazione dell’appetito, ipersonnia o insonnia, senso di sopraffazione e di difficoltà ad esercitare un controllo sulle proprie reazioni e sulla propria vita. Devono poi essere presenti sintomi fisici di indolenzimento o tensione al seno, dolore articolare e/o muscolare, gonfiore e dolori tipici della fase mestruale. Secondo il manuale questi sintomi devono essere presenti secondo un criterio ben preciso e devono compromettere notevolmente il normale funzionamento della donna in quei giorni. Questo dato è importante per una buona diagnosi differenziale con altri disturbi dell’umore o con una semplice sindrome premestruale la quale, seppur simile al PMDD a livello sintomatologico, non determina un disagio così significativo. L’alterazione dell’umore va poi analizzata in relazione alla storia clinica della paziente, poiché non deve essere meglio spiegata con un disturbo depressivo maggiore o con un disturbo bipolare o ciclotimico, nè dall’assunzione o abuso di sostanze o farmaci, tanto meno dall’esacerbazione di un’altra condizione clinica.

STORIA DEL DISTURBO E FATTORI SOCIO-CULTURALI:

La frequenza del disturbo si aggira tra il 3 e il 9% della popolazione, ma si consideri che una buona percentuale dei casi, ad oggi, non viene diagnosticata. Questo perché i sintomi, come si è visto, sono cognitivi, comportamentali e fisici e la capacità di riconoscerli e dare loro attenzione varia notevolmente in base alla cultura di appartenenza e alla storia di vita. D’altra parte il disturbo disforico premestruale ha fatto la sua comparsa solo di recente nel DSM-5, quindi ha avuto un riconoscimento come patologia a se stante solo da qualche anno e ciò pur rappresentando un passo avanti per tutte le donne che ne soffrono, richiede ancora un impegno notevole per individuare tutti quei casi che, finora, sono rimasti nascosti e inascoltati.

In effetti il fenomeno per troppo tempo è stato ricondotto a fattori sociali e annoverato tra “i vizi del mondo occidentale”. In realtà i primissimi casi riconosciuti risalgono ai primi anni del 900, ma per troppo tempo il disturbo è stato celato da luoghi comuni e dalla disinformazione sul funzionamento della donna nel periodo mestruale. Ad oggi, invece, è un fenomeno correlato alla fisiologia della donna, anche legato a fattori genetici ed ereditari, non più soltanto un fenomeno culturale di dubbia esistenza.

Il trattamento del PMDD prevede ad oggi un sostegno psicologico adeguato e, quando fosse necessario, una psicoterapia. Dal punto di vista farmacologico viene trattato come un disturbo dell’umore, pertanto può essere utile l’assunzione di antidepressivi (nello specifico SSRI). Anche l’attività fisica costante, soprattutto aerobica, pare avere effetti positivi nel ridurre o quantomeno controllare i sintomi, sia fisici che psicologici.

Fonti:

  • American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, APA, Washington DC.
  • Robinson, L.L. & Ismail, K.M. (2015). Clinical epidemiology of premenstrual disorder: Informing optimized patient outcomes. Int J Womens Health, 7:811–8.
  • Marjoribanks, J. et al. (2013). Selective serotonin reuptake inhibitors for premenstrual syndrome. Cochrane Database Syst Rev, 7(6): CD001396.