“Se non riesci a ricordare dove hai messo le chiavi, non pensare subito all’Alzheimer; inizia invece a preoccuparti se non riesci a ricordare a cosa servono le chiavi.”
Rita Levi Montalcini
Nel corso degli studi universitari non avevo preso in considerazione più di tanto l’ambito geriatrico o, più in generale, la neuropsicologia. Sono però stata fortunata, poiché pur venendo da una magistrale in Psicologia clinica, devo ammettere di aver avuto ottimi docenti di neuropsicologia e neurologia. È grazie a loro se, nella formazione post laurea, ho sentito la necessità di approfondire questo ambito della psicologia e, nello specifico, la patologia d’Alzheimer.
Parliamo di una patologia complessa, ancora oggetto di numerosi studi, una forma di demenza che colpisce numerose aree cognitive e comportamentali, dal linguaggio alla memoria, dall’attenzione alla capacità di giudizio, con risvolti emotivi importanti, tanto per il malato quanto per il suo caregiver. Quando grazie all’esperienza di volontariato e ai tirocini in neuropsicologia, ho avuto modo di stare faccia a faccia con l’Alzheimer, mi si accese una lampadina: volevo saperne di più. Soprattutto rimasi colpita dalle forme precoci della malattia, quindi a matrice genetica: decisi di dedicare a questo la mia tesi di master, un elaborato che, di fatto, è una review delle più recenti scoperte circa la valutazione del paziente con Alzheimer precoce.
Quando si parla del paziente con Alzheimer, si pensa a qualcuno che perde progressivamente la memoria ed in parte è così. Ma non è riconducibile solo alla perdita dei ricordi. Parliamo di una forma di demenza, pertanto le ripercussioni a livello cerebrale non riguardano solo la memoria, coinvolgono anche altre capacità cognitive. Questo perché la perdita neuronale avviene a livello di più aree del cervello, non soltanto quelle deputate alla memoria. Ed ecco che, il nostro paziente, in base alle fasi della malattia, può presentare difficoltà di linguaggio (non ricorda le parole), è disorientato nel tempo e nello spazio, non riesce a seguire una conversazione, sembra assentarsi alle volte, non riesce a progettare e pianificare le azioni quotidiane complesse all’inizio, più semplici mano a mano che la malattia avanza. Chiaramente prendere in carico un paziente con demenza d’Alzheimer presuppone la consapevolezza che, assieme al paziente, si prende in carico anche (e aggiungerei soprattutto) chi se ne occupa. Sul volume 22 del notiziario dell’Ordine degli Psicologi della Puglia si è parlato delle conseguenze che l’assistenza continua ai loro cari provoca nei caregiver, i quali sono, alle volte, proprio i familiari, pertanto emotivamente assai coinvolti. Purtroppo nel nostro Paese questo rappresenta ancora un tasto dolente, perché dopo la comunicazione della diagnosi, che già di per se avviene con un certo ritardo, le famiglie non godono a pieno di un supporto psicologico e assistenziale adeguato. Ricordiamo, inoltre, che l’Alzheimer porta con se anche disturbi dell’umore e del comportamento, tra cui depressione e apatia, disinibizione e aggressività, non facili da gestire.
Per fortuna, però, proprio perché sul fronte della ricerca qualcosa (e più di qualcosa) si muove nella giusta direzione, ci si sta soffermando sempre più sui fattori di rischio e i markers neurobiologici che compaiono molti anni prima della comparsa dei sintomi, cosicché si possa fare una valutazione e una diagnosi sempre più tempestiva della patologia e concordare cure più adeguate e calibrate sui singoli pazienti.
L’auspicio è che queste ricerche possano trovare un riscontro pratico nella clinica e nella riabilitazione migliorando, finché è possibile, le condizioni dei pazienti ma anche di chi se ne prende cura che, ogni giorno, porta sulle spalle i ricordi e la vita di entrambi.
Fonti:
Il caregiver burden nella demenza d’Alzheimer, Psicopuglia 2018, vol. 22 pp. 72-74
Early identification of cognitive deficits: preclinical Alzheimer’s didease and mild cognitive impairment. Geriatrics 2007, pp 19-23
Manuale di neuropsicologia clinica ed elementi di riabilitazione, 2007. Il Mulino, Bologna