Perché tu si e io no? La sofferenza degli invidiosi

“Quando essere felici per qualcuno ci sembra impossibile”

Quando si pensa all’invidia lo si fa sempre in termini negativi. Per la maggior parte delle persone il sentimento di invidiare qualcuno rappresenta un tabù nella relazione, qualcosa che non dovrebbe essere provato mai, soprattutto quando rivolto verso le persone a cui vogliamo bene. In effetti l’invidia è, forse, uno dei sentimenti più deludenti in un rapporto e scaturisce dalla frustrazione generata dal non aver ottenuto/non essere riusciti ad ottenere qualcosa che, invece, è stato raggiunto da qualcun altro. Le emozioni sottostanti il sentimento dell’invidia sono molteplici: di base nasce da un sentimento di rabbia per qualcosa che sentiamo di aver perso e che pensiamo di meritare, l’ansia di non riuscire a raggiungerlo mai, la delusione per aver fallito.

IL CONFINE TRA INVIDIA E AMMIRAZIONE

Si tratta di un confine sottile, difficile alle volte da delimitare, poiché la loro distinzione dipende da una terza dimensione: l’autostima. Se volessimo rappresentarle su un grafico, potremmo immaginare lungo l’asse delle x il continuum ammirazione-invidia, lungo l’asse y il livello di autostima percepita dalla persona: all’aumentare dell’autostima percepita corrisponde l’elevazione del livello di ammirazione. Al contrario, quanto più diminuisce il livello di autostima, tanto più aumenta il valore dell’invidia. Pertanto, il modo in cui percepiamo e giudichiamo i successi degli altri dipende in gran parte dal modo in cui percepiamo noi stessi. Quando mi percepisco capace e soddisfatto dei miei obiettivi, i successi altrui non mi disturbano, al contrario mi feriscono quando non sono contento di me stesso. A quel punto l’invidia diventa comoda, perché è la spiegazione più immediata del mio fallimento e del successo altrui. Non percependo la mia capacità, non riesco a percepire la capacità degli altri come sottostante i loro traguardi (quantomeno non la voglio accettare).

L’INVIDIA NORMALE

Da questa prospettiva, se ci fermiamo a riflettere un attimo, l’invidia non discende dalla cattiveria, ma da un’immane sofferenza. Degli invidiosi, ciò che è immediatamente visibile, è il disprezzo per ciò che hanno gli altri, poiché amarlo significherebbe percepire la sofferenza del non poterlo avere. Era per questo che la volpe disprezzava l’uva, definendola acerba: era, quello, un tentativo di non desiderarla più, fallito miseramente è ovvio, ma pur sempre un tentativo dettato dalla sofferenza. L’invidia è il sentimento meno accettato del mondo, meno della rabbia, dalla quale pure scaturisce, eppure è il più provato. Non è assolutamente vero che non si possa provare invidia per un amico o qualcuno a cui vogliamo sinceramente bene, perché i sentimenti non sono razionali e perché, come abbiamo detto, essa non nasce dalla cattiveria, ma da un’insicurezza di fondo, che può far vacillare anche i rapporti più saldi, poiché se non sappiamo amare noi stessi, non riusciamo ad amare l’altro. Ciò che rende l’invidia più o meno accettabile è la consapevolezza. L’invidioso cronico, a differenza di quello occasionale, non è assolutamente consapevole di ciò che sta provando poiché non riesce a guardare con autocritica se stesso. L’invidioso “una tantum”, quando abbia sviluppato un minimo di insight, è capace di fermarsi e chiedersi:

  • cosa mi sta dando fastidio, che lui/lei abbia ottenuto quella cosa, o che io non l’abbia ottenuta?
  • se io avessi quella cosa, mi piacerebbe?
  • cosa ha fatto l’altro per raggiungere quel traguardo, che io non ho fatto?
  • quali sono le circostanze che hanno contraddistinto i nostri diversi percorsi?
  • Voglio davvero quello che l’altro ha avuto, o voglio solo che lui/lei non ne usufruisca, se non posso usufruirne anche io?

Ma la domanda più difficile da porsi è questa:

PENSARE CHE L’ALTRO NON MERITI IL SUO SUCCESSO, MI RENDE FELICE ED è FUNZIONALE AL RAGGIUNGIMENTO DEI MIEI OBIETTIVI?

Chi è in grado di porsi queste domande non solo è molto coraggioso (a nessuno piace mettersi in discussione, tutti vogliamo avere ragione), ma sperimenta, spesso, il senso di colpa per aver provato invidia magari verso quell’amico. Perché non è vero che invidia e affetto non possano coesistere. Ebbene sì, posso essere molto felice per il traguardo di un amico, ma se mi percepisco come un fallito e la mia autostima è sotto i piedi, posso cedere anche io ai morsi dell’invidia. La bravura sta nel riconoscerla per tempo e spostare il focus dalla vita dell’altro alla nostra. Dopotutto una vita piena non lascia molto tempo per osservare quella altrui.

RICORDATE: chi lavora sodo non ha tempo per essere invidioso.

L’invidia, infatti, si nutre di noia e ozio e, contrariamente a ciò che si pensa, nuoce molto più a chi la vive. Impariamo allora a distinguere l’invidia cronica da quella occasionale, accogliendola se la proviamo e accettandola come spia di qualcosa che non sta funzionando come dovrebbe. Se ci soffermiamo sulla sofferenza e la delusione che l’invidioso sperimenta, ci viene quasi voglia di aiutarlo.