Cibo e regolazione emotiva

Quando il cibo regola le emozioni, oltre la fame: il contributo psicologico alla nutrizione

Il rapporto tra cibo ed emozioni è un argomento oramai attuale, molti sono stati e sono tuttora gli studi che spiegano come il modo in cui ci approcciamo al cibo la dice lunga su come stiamo. Uno degli aspetti più interessanti dell’alimentazione è come questa sia in grado di influenzare lo stato emotivo degli individui, ma anche di essere influenzata a sua volta dallo stato mentale. Ciò che è ancor più rilevante è che questo stretto legame si definisce nei primissimi anni di vita del bambino.

Il cibo come premio o punizione

I cibi non sono tutti uguali, è risaputo e abbastanza ovvio che esistano cibi maggiormente accattivanti soprattutto per i più piccini, tanto da diventare, in alcune famiglie, parte integrante del pasto, soprattutto lo spuntino. Proprio la natura di alcuni cibi dolci, anche e soprattutto in termini di consistenza (morbida perlopiù) li rende adatti a diventare dei regolatori del comportamento, utilizzati come rinforzo al fine di convincere il bambino ad adottare una certa abitudine. Il bambino in questo modo viene premiato tramite la possibilità di ottenere un alimento gustoso, oppure punito, quando questo alimento gli viene sottratto o sostituito con uno meno gradito. Questa tipologia di approccio al cibo (che di solito si osserva radicata nella famiglia di origine) insegna al bambino due cose:

  1. i cibi che mi piacciono sono gli stessi che mi fanno bene;
  2. il cibo risolve i miei problemi.

Nel primo caso, infatti, il bambino attribuisce ai cibi ricchi di zuccheri (di solito quelli più utilizzati come deterrenti per rinforzare un dato comportamento o ridurne un altro) quelle proprietà benefiche che in realtà non hanno, oltre al fatto che proprio perché così buoni rischiano col tempo di attivare in modo anomalo circuiti neuronali deputati alla ricompensa, creando quel famoso fenomeno per cui “zucchero chiama zucchero”: quanti più cibi dolci mangiamo tanto più ne abbiamo bisogno, con ovvie compromissioni sulla salute.

Nel secondo caso il discorso diventa meramente psicologico, ovvero “il cibo non regola la mia fame fisica, ma la mia fame psichica“. Se infatti per avere il mio cibo preferito devo comportarmi in un certo modo, significa che IO MERITO quel cibo solo se mi comporto bene; se mi comporto male imparo a privarmene. Il cibo smette così di essere un modo per nutrirsi e sfamarsi, diventa invece un regolatore di emozioni e comportamenti e questo può creare, in alcuni individui e in associazione a più circostanze, terreno fertile per l’instaurarsi di disturbi alimentari.

L’alimentazione consapevole

Ciò che fa diventare il cibo una risorsa è la possibilità di sceglierlo consapevolmente, non in base a ciò che in quel momento sentiamo possa appagare un bisogno emotivo, (poiché la fame NON è un bisogno emotivo, bensì fisico), ma in base a ciò di cui il nostro corpo ha bisogno per nutrirsi. Naturalmente, affinché questa consapevolezza esista, la persona deve aver imparato a distinguere un bisogno fisico da un bisogno emotivo. I soggetti in cui questa consapevolezza manca, hanno imparato invece a regolare le loro emozioni tramite ciò che mangiano ed è frequente osservare che il più delle volte ciò che mangiano (e il modo in cui lo fanno) riflette esattamente ciò di cui hanno immediatamente bisogno. Ecco allora che i cibi dolci tornano ad essere sinonimo di affetto, attenzioni; i cibi dalla consistenza morbida un bisogno di contatto e sensibilità; ingurgitare velocemente il cibo senza masticarlo può riflettere un bisogno estremo di colmare un vuoto, mentre eventuali condotte eliminatorie dopo (frequenti in pazienti bulimiche e talvolta anoressiche) evidenziano il senso di colpa per aver “ceduto” ad un bisogno psico-fisico.

Ecco allora che la consapevolezza, intesa come conoscenza di se stessi, capacità di autoregolarsi e delle proprietà nutritive dei cibi, diventa la chiave per una sana alimentazione, propedeutica per l’inizio e il proseguimento di una dieta alimentare.

La stretta correlazione tra psicologia e nutrizione rafforza la necessità di una presa in carico globale dei pazienti, in un’ottica multidisciplinare e collaborativa.

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